Il nostro paese è un insieme indivisibile

Su questo Pianeta, noi esseri umani, siamo gli ultimi arrivati.

Il nostro paese è un insieme indivisibile. La nostra attività tecnica risale ad appena qualche secolo fa. Nonostante questo, la nostra capacità distruttiva, ha avuto un impatto devastante su tutte le altre forme viventi, animali, vegetali e di ecosistemi.

Questo perché non abbiamo al nostro attivo una grande esperienza (e volontà) di cooperazione tra specie diverse e nemmeno all’interno della stessa specie.

Restiamo esseri viventi, estremamente concentrati sull’immediato. Non ci soffermiamo quasi mai a riflettere sul futuro, inteso non come il prossimo nostro futuro ma quello delle generazioni a venire.

Garanzia e saggezza

E a giudicare dai nostri comportamenti, singoli e collettivi, non esiste alcuna garanzia che avremo la saggezza necessaria per capire il delicato SISTEMA ECOLOGICO racchiuso nel nostro Pianeta e modificare il nostro comportamento a partire da tutte le conoscenze acquisite.

Ciò che le società cosiddette moderne faticano a comprendere è che il nostro Pianeta è un insieme indivisibile. Che lo sfruttamento delle risorse naturali o la distruzione di habitat come di forme differenti di vita ha ricadute di tipo globale.

In America settentrionale gli uomini respirano l’ossigeno che si genera all’interno delle foreste pluviali del Brasile. Le piogge acide prodotte dalle industrie inquinanti di molte città industriali distruggono le foreste in molti altri luoghi lontani migliaia di chilometri. Gli incidenti nucleari generati in Russia danneggiano uomini e animali dal’altra parte del globo.

Tutto è interconnesso, tutto è collegato.

Che ci piaccia o no, noi uomini siamo inscindibilmente legati ai nostri simili e alle piante e animali che popolano la terra e le nostre vite sono strettamente intrecciate.

Se non abbiamo avuto il dono di sapere mediante l’istinto come trasformare il nostro mondo tecnologizzato in un ecosistema sicuro e bilanciato, dovremo escogitare un modo per farlo nel più breve tempo possibile, partendo dalle conoscenze troppo spesso relegate per cedere il posto agli interessi economici immediati e alla comodità di pochi.

E dovremo anche e soprattutto iniziare a darci un codice morale ed etico che guidi le nostre scelte di coabitazione con tutti gli altri esseri viventi. Dovremo allontanare da noi quel principio base che segnò l’inizio della scienza e della filosofia, ovvero di “diventare Signori e padroni della Natura”, di utilizzatori della scienza per “piegare la Natura al Servizio dell’uomo”.

Gli orsi del Trentino

Per fare un esempio pratico di quanto sto dicendo prendiamo il caso degli orsi del Trentino, che sono il paradigma di come l’uomo ha inteso modificare il suo territorio reintroducendo uno specifico animale per poi non essere in grado di assumersi la piena responsabilità del suo intervento.

Il progetto iniziale, il LIFE URSUS, era nato sostanzialmente per ridare al Trentino una specie selvatica che, sempre per interventi umani, si era estinta. Oltre a prevedere l’immissione di esemplari sloveni, il progetto nasceva dal concetto che la popolazione ursina, una volta adattatasi ai luoghi di rilascio. Avrebbe dovuto espandersi anche nelle regioni e nei territori confinanti, in virtù della sua natura etologica.

Progetto ambizioso che è franato miseramente nel momento in cui l’uomo, lo stesso che aveva voluto il ritorno di questo plantigrado, si è reso conto che aveva delle responsabilità nei suoi confronti, primo fra tutti la sua tutela e la consapevolezza che si sarebbero dovuti modificare alcuni comportamenti che prima potevano essere tralasciati.

Un territorio non può rimanere lo stesso

dopo che hai volutamente introdotto un animale di questo tipo, gli stessi abitanti di quel territorio non possono essere gli stessi, così come non possono restare identici i loro comportamenti e le loro abitudini.

Il nostro paese è un insieme indivisibile

Rapportarsi con animali di questo tipo (ma vale per qualsiasi altra specie vivente) impone a noi uomini una modifica di atteggiamento, un innalzamento della cultura e un fondamentale rispetto per le esigenze di questa o quella specie. 

Non esiste separazione tra noi umani e gli altri esseri viventi, così come non dovrebbero esistere separazione. Tornando agli orsi trentini, tra la vita degli uomini in quei territori e il lecito e doveroso diritto di essere orsi liberi, con tutte le conseguenze e caratteristiche che ciò comporta.

Invece, il patto tra orsi e uomini è stato tradito

e, una volta modificato il PACOBACE, l’introduzione del concetto di “orso problematico” è diventato lo strumento gestionale ma anche politico per stabilire a tavolino quali individui ursini avevano il diritto di vivere come orsi e quali questo diritto lo avevano perduto. Con relative catture e imprigionamenti, lontani dai loro territori, relegati in misere e strette prigioni di cemento.

Comportamenti normali nel mondo animale, ma anche in quello umano, come difendere la prole, reagire a provocazioni e a spaventi generati da errati comportamenti umani, si sono trasformati in indici di PERICOLOSITÀ’ e la 

soluzione trovata è stata la rimozione coatta del “problema”.

Ancora una volta l’essere umano, persa la consapevolezza del suo collegamento con tutto ciò che è ALTRO DA SÉ, cerca di risolvere il problema utilizzando schemi e modalità. ma questi tengono conto esclusivamente delle sue necessità, come se vivesse avulso da una realtà ben più ampia e complessa.

Uno schema mentale totalmente antropocentrico in cui tutto quello che NON È UMANO può essere eliminato, trasformato, rinchiuso, messo a tacere

Un mondo solo per gli uomini dove ogni altra creatura, che sia animale o vegetale, deve piegarsi al volere perdendo libertà e dignità di esistenza.

Questa modalità di pensiero e di azione possiamo rinvenirla in centinaia di altri casi emblematici. I corsi d’acqua tombati o deviati dalle opere di cemento dell’uomo. I mari diventati una discarica di materie plastiche, lo sfruttamento degli animali per produrre divertimento. Gli allevamenti intensivi posti in luoghi isolati e nascosti, la distruzione sistematica delle più grandi foreste del mondo. La ricerca scientifica che ancora si ostina a brutalizzare e uccidere animali.

Ognuna di queste pratiche ha una radice comune

l’incapacità umana di considerarsi parte integrante di un sistema, tra l’altro molto più antico e più saggio di lui. Di ribaltare lo schema del predominio su tutto in relazione benefica e rispettosa. Ma soprattutto, l’incapacità totale di comprendere che tutti questi scellerati comportamenti, proprio in virtù del fatto che siamo tutti collegati, ci farà scomparire dalla faccia della Terra.

La pandemia che stiamo vivendo è una delle più globali reazioni al nostro secolare strapotere.

Ogni giorno, da tempo, abbiamo avuto segnali che non abbiamo mai voluto ascoltare.

Anche un torrente che esonda e distrugge un paese è un segnale. La scomparsa di centinaia di specie animali ogni giorno è un segnale. Lo scioglimento dei ghiacci è un altro segnale. E l’aumento di malattie molto gravi come leucemie e tumori nelle aree maggiormente inquinate, sono tutti segnali. Ma noi, arroganti e chiusi, attenti solo al nostro effimero quanto immediato benessere (che è una beffa) non siamo capaci di ascoltarlo.

E, illudendoci di correre ai ripari, aggiungiamo ad uno schema distruttivo uno schema ancor più distruttivo, in una voragine che non ci potrà salvare.

Ruth Pozzi

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